Operazione Pandora 2021
Indagine delegata estesa a più Regioni italiane con 274 indagati
274 persone indagate, quasi tutte per frode assicurativa e, di queste, 14 accusate di falsità materiale commessa da privato e sostituzione di persona.
È l’esito dell’Operazione Pandora 2021, una lunga e articolata indagine della Polizia Locale di Trieste (Nucleo di polizia giudiziaria) iniziata 2 anni fa sotto il coordinamento della locale Procura della Repubblica (P.M. dott.ssa Maddalena Chergia).
L’indagine è partita dalla segnalazione dell’impiegata di un’agenzia assicurativa triestina che si è rivolta alla Polizia Locale: il sospetto gravava sull’autenticità di un documento presentato per stipulare un contratto RC Auto. Dal primo riscontro positivo, grazie al Laboratorio sul falso documentale della PL triestina, le indagini hanno portato – secondo gli inquirenti – a un’articolata organizzazione criminale attiva tra Napoli, Pescara e Cosenza e che ha coinvolto a loro insaputa una centinaia di cittadini e circa 70 agenzie assicurative in tutta Italia.
Partendo quindi da una polizza sottoscritta da un’altra agenzia locale, attraverso la tracciatura del pagamento, gli investigatori risalivano ad un conto bancario d’appoggio e a una carta prepagata: le successive informazioni bancarie permettevano di identificarne il titolare – un pluripregiudicato di Pozzuoli – e portavano alla luce un corposo elenco di transazioni; decine e decine di pagamenti online e centinaia di bonifici; tutte operazioni che erano finalizzate alla sottoscrizione di altrettanti contratti assicurativi. La verifica delle centinaia di polizze acquisite, ciascuna abbinata a uno specifico pagamento, svelava una truffa di dimensioni considerevoli: dalla sola documentazione analizzata, si stima un raggiro da 700.000 euro ai danni delle compagnie assicurative.
I presunti responsabili della truffa falsificavano i documenti necessari: carte di circolazione, ricevute sostitutive di documenti di circolazione, tessere sanitarie, carte di identità, patenti, certificati di demolizione del PRA, dichiarazioni di conto vendita e addirittura certificati di matrimonio; la proprietà dei veicoli da assicurare veniva abbinata ad ignari cittadini, in più di qualche caso defunti da anni. False residenze, quindi, per eludere le verifiche di chi controllava le polizze ma soprattutto per ridurre notevolmente i premi da pagare rispetto a quelli realmente previsti (vivere in una città a bassa incidentalità incide sul prezzo dell’assicurazione). Sfruttavano inoltre, attraverso asserite demolizioni di veicoli, i vantaggi del c.d. Decreto Bersani e quindi di un ulteriore ribasso del premio da pagare. Il risultato finale era un contratto assicurativo perfettamente valido, intestato ad un’ignara persona.
Veniva anche accertato, in alcuni casi, che l’effettivo titolare del contratto assicurativo – solitamente residente a Napoli e provincia – veniva “agganciato” con un certificato di matrimonio falso, ad un abitante di zone più vantaggiose per la tariffa del premio.
Il meccanismo di raggiro
Tutto iniziava con la ricerca di persone disposte a stipulare polizze per i propri veicoli a prezzi eccessivamente vantaggiosi: 2-300 euro annui invece di 4000.
A questo punto il gruppo produceva un falso trasferimento di proprietà del veicolo da assicurare, attestante la vendita a un terzo individuo – all’oscuro di tutto – a cui veniva abbinata una falsa residenza nella Provincia dell’agenzia che stava per essere truffata.
Per allontanare il sospetto sulla provenienza del veicolo da assicurare – area metropolitana di Napoli, in genere – la carta di circolazione veniva ulteriormente falsificata ed i campi indicanti il luogo di nascita e residenza venivano sostituiti con località del Piemonte o del Veneto. I documenti d’identità dell’ignaro contraente – patente, carta di identità, ma anche la tessera sanitaria – erano ovviamente tutti falsificati. Come i certificati del PRA attestanti la demolizione di veicoli o le dichiarazioni di conto vendita: tutti fittiziamente intestati ai medesimi contraenti per beneficiare dei rimborsi riconosciuti dalla legge.
Con la documentazione necessaria i componenti della presunta banda si fingevano i legittimi proprietari dei mezzi e telefonavano all’agenzia prescelta per un preventivo; poiché alcuni di essi erano anche broker assicurativi, si presentavano in questa veste.
Con la trasmissione digitale dei documenti, se non c’erano problemi e il preventivo era conveniente, l’asserito contraente eseguiva il pagamento elettronico; nella maggior parte delle stipule non c’era un rapporto diretto tra contraente e agente assicurativo poiché il contratto veniva siglato con la firma elettronica avanzata, da remoto; perfezionata la procedura, l’agenzia trasmetteva il contratto al finto contraente che dietro compenso la consegnava al fruitore finale, reale proprietario del veicolo.
Metodi per non essere rintracciati
I contatti di riferimento, per il recapito del contratto assicurativo, erano indirizzi email o utenze mobili fittizi tali da garantire la non rintracciabilità. Gli investigatori accertavano infatti l’uso di email dai nomi fantasiosi con lo stesso dominio legato a un provider extraeuropeo e numeri di cellulari intestati a ignari cittadini extracomunitari: su quest’ultimo aspetto emergeva un’ulteriore attività delittuosa in capo a 8 dealer gestori di punti vendita di telefonia a Napoli, Milano, Roma e Bari, tutti cittadini del sud-est asiatico che, dopo aver falsificato i documenti di precedenti clienti, stipulavano a loro insaputa centinaia di utenze mobili che poi rivendevano anche ai componenti del gruppo per una cifra irrisoria ma, soprattutto, senza una registrazione reale dell’acquirente. La verifica della documentazione di più di 200 utenze mobili ha fatto emergere falsificazioni di date di nascita, numeri di passaporto, firme e indirizzi di residenza: alterazioni del documento che garantivano anche in questo caso l’impossibilità di rintracciare il reale fruitore.
Le perquisizioni e gli indagati
Sulla scorta degli elementi raccolti (analisi di transazioni bancarie, e documentazioni acquisite in numerose agenzie assicurative frodate in tutta Italia) la Polizia Locale di Trieste dava esecuzione a una decina di perquisizioni nelle Province di Napoli, Pescara e Cosenza, coadiuvati dagli agenti dell’Unità Investigativa Centrale della Polizia Locale di Napoli, dei Comandi di Pozzuoli e Pescara e dalla Guardia di Finanza-Compagnia di Paola (CS).
Sequestrati cellulari, personal computer, schede di memoria e documenti vari, elementi la cui successiva attenta analisi permetteva di rafforzare le ipotesi delittuose nei confronti di 14 indagati: S.A. del 1968 di Pozzuoli, P.L.A. (1994) e R.C. (1984), coniugi napoletani, C.A. (1958) da Cosenza, S.R. (1958), L.S.S. (1961), P.P. (1992), I.A. (1978) e M.A. (1976), tutti di Napoli, R.S. (1998) di Lecce, e i cosentini B.L. (1988), F.A.(1969), B.G. (1985) e A.L. (1997). Gli ultimi 6, nella loro veste di broker assicurativi, avrebbero operato con agenzie delle Province di Pescara e Cosenza.
E’ stato inoltre chiesto il rinvio a giudizio di altre 260 persone, responsabili a vario titolo dei reati in concorso di fraudolento danneggiamento dei beni assicurati, falsità materiale commessa da privato, sostituzione di persona, truffa e ricettazione. Tra di essi anche gli 8 dealer titolari dei centri di telefonia con le ipotesi di reato di sostituzione di persona, falsità materiale commessa da privato e truffa.
La preventiva attività d’indagine inoltre, grazie all’incrocio delle informazioni bancarie, delle utenze telefoniche e di alcuni indirizzi IP, permetteva di individuare anche il dispositivo utilizzato per la connessione dati – un modem localizzato in un appartamento di Napoli – sequestrato durante una delle perquisizioni delegate.
I numeri dell’indagine
Gli operatori del Nucleo di Polizia Giudiziaria hanno acquisito e analizzato:
- le transazioni bancarie di decine di carte prepagate;
- i tabulati telefonici relativi a circa 90 utenze corrispondenti ad un traffico pari a 180 anni;
- le conversazioni sui Social di migliaia di chat utilizzate dai presunti responsabili;
- circa 500.000 file custoditi all’interno dei dispositivi elettronici sequestrati;
- i dati relativi a circa 1 milione di interrogazioni alla banca dati dell’ANIA: a questo proposito accertavano l’utilizzo delle credenziali di accesso di almeno 12 agenti assicurativi di una nota compagnia, le cui posizioni sono attualmente al vaglio dell’Autorità giudiziaria.
Il commento dell’assessore alle politiche della sicurezza cittadina: “Un plauso e un ringraziamento al nucleo della Polizia Locale coinvolto in questa significativa operazione nata nel 2021. La competenza e la professionalità degli uomini coinvolti hanno permesso di raggiungere risultati ragguardevoli”.